Dante e Virgilio attraversano il Flegetonte – fiume di sangue bollente in cui vengono puniti coloro che hanno commesso violenze verso gli altri – ed entrano in una fitta foresta. Le piante sono scure e contorte e si odono lamenti perpetui. Sui rami spogli fanno il nido orrende arpie, creature mostruose con volto umano e corpo di uccello. Dante spezza un ramo da un albero: dalla pianta esce sangue bruno, insieme al grido ‘Perché mi spezzi?’. Una voce comincia poi a parlare. In vita era Pier delle Vigne, potente ministro e consigliere di Federico II di Sicilia, caduto in disgrazia, imprigionato e torturato. Morì in circostanze misteriose, forse fu assassinato, forse si tolse la vita. Gli alberi sono le forme trasformate di coloro che hanno inflitto violenza a sé stessi – attraverso il suicidio, o attraverso lo sperpero dei propri beni. Corpo e anima, che il suicidio tenta di separare, si riuniscono in questa metamorfosi ritorta. Prima della fine del canto, Virgilio prende per mano il poeta e lo porta vicino a un cespuglio dal quale esce sangue e la voce di un suicida. È un anonimo fiorentino che dice ‘trasformai la mia casa nel mio luogo d’impiccagione’, frase con la quale Dante sembra voler accusare Firenze di ‘uccidere sé stessa’ attraverso lotte intestine.